Il seguente articolo è stato pubblicato su La Stampa del 16 ottobre 2017
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Intesa, Unicredit, Mps e Carige gli istituti più esposti. I timori maggiori sono per le sofferenze senza garanzie.
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La banca toscana. Monte dei Paschi di Siena ha crediti deteriorati lordi per oltre trenta miliardi di euro. Circa 7 miliardi è il valore netto degli Npl |
GIANLUCA PAOLUCCI
Secondo gli analisti di Equita, applicando ai numeri del 2016 le nuove regole sui crediti problematici proposte dalla Bce, l costo dei rischi per queste banche sarebbe incrementato di 3,5 miliardi di euro. Ed è questo numero a spaventare di più i banchieri e, a cascata, regolatori, governanti e imprese.
La maggior parte (78%) delle nuove sofferenze sono garantite e quindi le banche avrebbero sette anni di tempo per essere «abbattuti» del 100%. Secondo i dati di Bankitalia, il 54% delle garanzie viene recuperata dopo più di 5 anni ma entro nove anni la percentuale di recupero si avvicina al 100%.
Ma è la componente senza garanzie quella che desta maggiori preoccupazioni che va ammortizzata entro due anni ed è composta prevalentemente da famiglie (credito al consumo) e piccole imprese. «Se ci sarà una stretta del credito sarà su queste categorie», spiega un gestore di fondi che ha investimenti nelle banche italiane. Il ragionamento che fa un banchiere è il seguente: è vero che gli Utp (unlikely to pay, inadempienze probabili, il gradino che precede le sofferenze) tendono a diventare sofferenze al ritmo del 15/20% all’anno. «Ma è anche vero che statisticamente circa un terzo tornano “in bonis”. Le banche finora avevano l’incentivo a tenere il cliente e stabilizzare l’esposizione». Con la proposta della Bce, «viene meno l’incentivo a recuperare l’esposizione privilegiando la vendita del credito a fondi specializzati, il cui interesse è recuperare in fretta il proprio credito a scapito del cliente».
Spostando l’attenzione dai problemi dei clienti a quelli delle banche, la prospettiva cambia. Il problema maggiore della proposta della Bce è proprio quello di chiedere di accantonare al 100% delle categorie di credito deteriorato che finora le banche italiane hanno pensato di gestire internamente senza troppi patemi. I cosiddetti Utp, ad esempio, secondo una ricerca di Credit Suisse hanno tassi di copertura del rischio che vanno dal 44% di Unicredit al 26% di Bper. Gli scaduti («past due» nella definizione anglofona, il primo gradino del credito deteriorato) hanno coperture che vanno dal 34% ancora di Unicredit al 8% di Bper o al 9% di Ubi.
La necessità di aumentare gli accantonamenti, seppur in maniera graduale, peserà maggiormente sugli istituti più deboli. Guardando all’ultima riga del bilancio, la stima per il 2018 è di un impatto sugli utili di circa un miliardo (sempre per le prime dieci banche) sugli 8,4 miliardi di utili attesi per il prossimo anno. Ma se per Unicredit e Intesa Sanpaolo, gli istituti più solidi, il calo dell’utile sarà limitato ad una percentuale compresa tra l’8% e il 9%, per Bpm Banco l’impatto sull’utile atteso arriverà al 21%, al 26% per Bper e fino al 47% per Carige, per la quale peraltro il mercato stima già una perdita netta di 50 milioni che comprende Unicredit, Intesa, Ubi Banca, Bper e Banco Bpm.
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